Luti Benedetto
Figlio di un artigiano fiorentino di nome Iacopo (Pascoli, p. 228), nacque a Firenze il 17 nov. 1666. Secondo Hugford (p. 61), il L. apprese l'arte del disegno e della pittura alla scuola di Anton Domenico Gabbiani.Perdute le due scene mitologiche segnalate da Hugford (p. 61), del periodo fiorentino del L. rimane di certo solo la pala con La Madonna e le anime del purgatorio, dipinta tra il 1687 e il 1689 per la pieve vecchia di Pontedera (Sestieri, 1973, p. 234).
Il delicato uso dello sfumato di questa pala si riscontra anche in una piccola tela sul tema penitenziale della Maddalena in meditazione davanti al crocifisso (Parigi, Louvre), databile a questi stessi anni.
Nel 1690 il L., ormai "superiore al maestro", si trasferì a Roma (Pascoli, p. 228). Suo primo mecenate fu Paolo Falconieri, un conoscitore molto ben integrato sia nell'ambiente della corte granducale (fu agente del cardinale Leopoldo e di Cosimo III de' Medici) sia nei circoli artistici e collezionistici dell'Urbe (Bottari - Ticozzi, II, p. 72). Il L. inoltre non interruppe mai i rapporti personali con i Medici, in particolare con Cosimo III e, attraverso questa prestigiosa protezione, riuscì a integrarsi facilmente nell'alta società romana e a ottenere contatti in Francia, Inghilterra e Germania.
Subito dopo il suo arrivo a Roma cominciò a frequentare l'Accademia di Francia e l'Accademia di S. Luca, ottenendo i primi riconoscimenti per le sue prove grafiche (Bowron, 1980, pp. 79-85): nel 1691 vinse il primo premio del Concorso Clementino, con un disegno raffigurante Mosè raccoglie i doni per la costruzione del tempio (Rudolph, 1989). L'anno successivo dipinse, su commissione di Giovanni Niccolò Berzighelli, una tela monumentale raffigurante Dio Padre caccia Caino dopo l'omicidio di Abele (Kadleston Hall, Derbyshire), che espose pubblicamente all'annuale vetrina del giorno di S. Bartolomeo (Bowron, 1980, p. 28).
Ancora per Berzighelli eseguì, tra il 1692 e il 1693, il Convito in casa di Simone (Kadleston Hall, Derbyshire), opera che mostra ugualmente i debiti del L. per l'arte barocca romana, in particolare per Ciro Ferri e le sue illustrazioni del Messale di Alessandro VII, che, incise nel 1662 da François Spierre, divennero un modello diffuso e costantemente copiato dagli artisti di fine Seicento.
Il 12 apr. 1694 il L. fu eletto accademico di S. Luca (Bowron, 1980, p. 28). Fu il segnale della sua definitiva consacrazione nell'ambiente artistico romano e l'inizio della sua ascesa sociale: a partire da questo momento egli iniziò a lavorare per le grandi famiglie romane - Torri, Colonna, Pallavicini, Odescalchi, Barberini - e per importanti rappresentanti della Chiesa, da papa Clemente XI al cardinale Pietro Ottoboni, da Carlo Agostino Fabroni (cardinale dal 1706), a padre Antonin Cloche, maestro generale dell'Ordine domenicano. Di questi anni (1694-95) sono il Miracolo di s. Chiara (Roma, collezione Augusto Barberini), fortemente influenzato dal soffitto cortonesco di palazzo Barberini, e il S. Benedetto nel roveto.
Tra il 1695 e il 1700 possono collocarsi anche le prime scene mitologiche del L., come l'Amore e Psiche dell'Accademia di S. Luca, ordinata dal cardinale Pietro Ottoboni (Pascoli, p. 231), che si basa sul modello di Simon Vouet.
Nel 1697 il suo nome fu inserito tra i Virtuosi al Pantheon (Bowron, 1980, p. 29). Tre anni dopo affrescò la volta della camera dell'udienza di palazzo Colonna a Roma con L'apoteosi di Martino V Colonna, che accompagnava l'Apoteosi di Marcantonio II Colonna eseguita nello stesso anno, ma in un altro ambiente, da Giuseppe Chiari.
La sua prima vera commissione pubblica ecclesiastica in Roma è la Comunione della Maddalena in una cappella della chiesa domenicana di S. Caterina da Siena a Magnanapoli, eseguita nel 1702 contemporaneamente ai dipinti di Giuseppe Passeri (la Madonna del Rosario e i Tre arcangeli) presenti nello stesso luogo (Bowron, 1980, pp. 124-127).
In data imprecisata, ma probabilmente prima del 1705, sposò una donna fiorentina di nome Margherita, da cui ebbe quattro figli: Carlo (1705-76), che fu giurista e sottodatario, Giovanni Angelo (1707-71) che si fece prete, Chiara e Maria Maddalena (Bowron, 1980, pp. 29 s.).
Sono datati al 1707 due piccoli oli su rame dell'Accademia di S. Luca: Il convito in casa del fariseo e la Cena in Emmaus (ibid., p. 116).
Sempre del 1707 è la S. Brigida di Svezia, conservata a Holkham Hall (Norfolk). Nel 1708 e poi ancora l'anno successivo fu eletto reggente dell'Accademia di S. Luca (ibid., 1980, p. 29). Dopo la morte, nel 1710, di Maria Camilla Pallavicini Rospigliosi, di cui aveva dipinto il ritratto qualche anno prima (1700-05 circa; Roma, collezione Pallavicini), egli prese le vesti dell'agente di famiglia per scambiare il celebre Mangiafagioli di Annibale Carracci con un quadro di David Teniers (ibid., 1980, p. 35).
Nel 1712 firmò e datò la Vestizione di s. Ranieri per il duomo di Pisa, di cui esistono numerosi bozzetti.
La maniera comunque profondamente retorica e magniloquente dell'impresa pisana sta alla base delle sue successive realizzazioni di soggetto religioso, come il S. Carlo Borromeo amministra l'estrema unzione alle vittime della peste del 1576 (Schleissheim, Neues Schloss, Staatsgalerie) e la S. Anna che insegna a leggere alla Vergine (Burghausen, Gemäldegalerie), dipinti nel 1713 per l'elettore palatino, principe Johann Wilhelm (Bowron, 1980, pp. 30, 165 s.). Nel 1713 fu eletto vicereggente dell'Accademia di S. Luca (ibid., p. 29). Allo stesso anno risalgono probabilmente le prime commissioni dell'arcivescovo elettore di Magonza Lothar Franz von Schönborn, grazie ai buoni uffici del quale il L. fu nominato cavaliere dell'Impero (ibid., p. 30): si tratta di Diana ed Endimione e di Venere e Adone (Pommersfelden, Schloss Weissenstein).
Dopo la morte di Maratti, nel 1713, il L. - che acquistò anche parte della sua collezione di disegni (Bowron, 1980, pp. 38 s.) - divenne il pittore più apprezzato (e più pagato) in Roma; e la sua fama fu oscurata solo dalla concorrenza di Francesco Trevisani e di Giuseppe Chiari. Suoi dipinti e disegni erano presenti nelle maggiori collezioni del tempo, come quella del marchese Torri (il L., insieme con Giuseppe Passeri e Chiari, lavorò alla decorazione perduta della sua villa fuori porta S. Pancrazio), dei cardinali C.A. Fabroni e P. Ottoboni (il quale possedeva un S. Paolo del L., facente parte di una serie di apostoli dipinti dai maggiori artisti del tempo e presentata nel 1713 alla mostra del Pio Sodalizio dei Piceni), ma anche in quelle dei Pallavicini, dei Corsini e dei Miollis già nella villa Aldobrandini di Frascati. Si accrebbero, in parallelo, il ruolo e la stima del L. all'interno delle istituzioni accademiche capitoline, in particolare dell'Accademia di S. Luca: già da un decennio infatti, a partire dalla fine del 1704, egli era stato annualmente eletto giudice per le composizioni accademiche (ibid., 1980, p. 44); e il suo nome compare con continuità nelle pagine dei Verbali delle congregazioni dell'Accademia; giocò poi un ruolo decisivo nelle deliberazioni sul cambiamento degli Ordini e statuti dell'Accademia, che furono pubblicati nel 1715 dopo l'approvazione del pontefice Clemente XI.
Del 1717 circa sono altre sue tele conservate a Pommersfelden (Schloss Schönbrunn), dipinte per l'elettore palatino di Magonza: Venere, Mercurio e Amore e Atalanta e Ippomene.
Nel 1718 il L. partecipò all'impresa promossa da papa Clemente XI in S. Giovanni in Laterano: doveva dipingere, insieme con altri valenti pittori del tempo, una serie di profeti nelle arcate della navata; suo è l'Isaia, che, come quello di Marco Benefial, si distingue dagli altri per l'originalità e la scioltezza del tocco. Il 14 genn. 1720 fu eletto finalmente principe dell'Accademia di S. Luca, non senza contestazioni (Bowron, 1980, pp. 46 s.). Negli anni successivi, tra il 1721 e il 1724, fu nominato primo e poi secondo consigliere dell'Accademia. Intorno al 1720 dipinse una tela destinata al soffitto del palazzo del marchese Livio De Carolis a Roma, ora sede della Banca di Roma (i cui interni furono decorati dai maggiori artisti del momento), raffigurante Diana come personificazione della Luna (Allegoria di Diana): felice invenzione, con un bel notturno abitato dalla luminosa dea lunare circondata dalle ninfe, la Diana del L. rimanda chiaramente all'Endimione di Pier Francesco Mola (Roma, Pinacoteca Capitolina), ma si presenta come prototipo del nuovo gusto rococò, per la composizione rarefatta, la grazia, la leggerezza e la finissima eleganza, nonché per l'originale composizione a sottinsù.
Si chiude qui il percorso delle opere sicure del L. che, al contrario dei suoi contemporanei, non fu affatto prolifico: si conoscono infatti solo settantacinque opere autografe.
Il 10 giugno 1724 il notaio registrò il testamento del L., nominato con il titolo di "eques" (Bowron, 1980, p. 40). Pochi giorni dopo, il 17 giugno 1724, morì a Roma, nella sua residenza di villa Medici al Pincio (ibid., p. 50). Solenni furono la cerimonia funebre e la sepoltura in S. Nicola dei Prefetti in Campo Marzio, doverosamente organizzate dalla Congregazione dei Virtuosi e dall'Accademia di S. Luca.
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