Dall' Acqua Cristoforo

Incisore e disegnatore, figlio di Valentino e Aurelia Zorzè, nacque a Vicenza il 1° apr. 1734, nella parrocchia di S. Croce, in una famiglia di nobili origini ma di modeste fortune.

Poche le notizie sicure sulla vita del D., "come quella di tutti li suoi fratelli in arte ... oscura, destino che non hanno gli scultori, ed i pittori, dei quali si raccolgono le più piccole memorie" (Da Schio, App., II, cc. 647 s.). Recenti studi (Sanna, 1975-76; Saccardo, 1981, pp. 297-300) hanno tuttavia portato alla luce documenti grazie ai quali si possono ora segnare con certezza almeno le tappe principali della sua vicenda. Il Maccà (Alfabeto ..., p. 124) lo vuole nella giovinezza a Roma, allievo di "celebri maestri"; più sicura ed utile parrebbe la testimonianza del Baseggio (1847, p. 178), secondo cui il D. "molto intagliò in casa Remondini" a Bassano, insieme con A. Orio, A. Gabrieli, A. Canali e F. Ricci. Comunque, per la calcografia bassanese, in quegli anni fiorentissima, senz'altro l'incisore lavorò a Vicenza, come accerta il carteggio dal gennaio 1757 all'aprile 1764 con G. B. Remondini, conservato nel Museo di Bassano.

Le numerose lettere, analizzate con attenzione dalla Sanna (1975-76) hanno carattere prevalentemente commerciale, anche se lasciano trasparire un legame di amicizia tra i due interlocutori, ad onta delle note accese e risentite con cui il D. replica talora alle critiche dell'esigente imprenditore.

Si può pensare che, conchiusa la fase dell'apprendi stato a Bassano e tornato a Vicenza, il D. continuasse a gravitare, almeno fino al '64, nell'orbita dei Remondini con i quali, per altro, manterrà rapporti anche in seguito quando, come molti incisori del suo tempo, completerà a Venezia la sua formazione. Decisivo fu, qui, l'incontro con G. Wagner, il maestro tedesco che nella capitale veneta fondò la più importante scuola di attività incisoria del Settecento, introducendovi la tecnica francese dell'intaglio in rame con acquaforte e bulino (Lucci, 1983, p. 432). L'inizio della collaborazione con il Wagner può esser fatto risalire all'anno 1764: in una lettera del marzo di quest'anno, infatti, il D. annunciava al Remondini che era in procinto di partire per Venezia dove contava di fermarsi una settimana; nello stesso anno cessava il carteggio con l'editore bassanese. L'Avviso agli amatori delle stampe in rame, stampato a Vicenza nel 1775, attesta esplicitamente il rapporto di lavoro con il Wagner nell'ambito del quale, anzi, vediamo il D. anche collaborare (Moschini, 1924, p. 119) con Fabio Berardi.

Negli ultimi anni della sua vita il D. fu chiamato ad illustrare alcune edizioni di A. Zatta. Ormai, egli doveva godere di un certo prestigio, come testimoniano, oltre alle importanti commissioni, anche i periodici dell'epoca, vale a dire gli articoli comparsi sull'Europa letteraria, nell'ottobre del 1770, e sul Giornale enciclopedico, nel giugno del '76 ("Reso è ormai celebre il S. Cristoforo Dall'Acqua Vicentino per le singolari sue incisioni in rame..."), e nel febbraio del '79 ("Invenzioni: È stato eseguito in Vicenza un torchio per istampare in rame, il quale esiste appresso il Sig. Cristoforo Dall'Acqua noto ed esperto Incisore di questa Città ...").

Il D. morì a Vicenza, il 10 nov. 1787 e fu sepolto nella chiesa dei Carmini. I cronisti dell'epoca, Pavanello e Corona, introducono una nota di oscurità nella sua morte precoce, che mettono in rapporto con una lite dovuta ad una pendenza economica con il "terribile" Concittadino, il barone e poeta Giulio Ferrari, uomo notoriamente violento e vendicativo.

La produzione del D. è molto copiosa e orientata verso generi diversi: l'illustrazione di libri, la riproduzione di quadri, il ritratto, la veduta, come anche il santino, il biglietto da visita, la decorazione per sonetto. Il D. si iscrive, così, nella schiera degli incisori-riproduttori, sapienti artigiani che rispondono alle "esigenze pratiche, commemorative, encomiastiche, feligiose, pietistiche" della società settecentesca (Pallucchini, 1941, p. 10). Ma ci sono anche rare occasioni in cui l'artista prepara egli stesso le immagini destinate all'incisione e, allora, lascia meglio trasparire la sua umanità e qualche sprazzo di talento creativo.

In un'epoca che vide in modo splendido rifiorire nella Repubblica veneta, e principalmente a Venezia, l'editoria, il D. prestò la sua opera all'illustrazione di libri. Si segnalano qui alcuni esempi, ritenuti i più significativi. Tradusse, in rame, i disegni di O. Bertotti Scamozzi che corredano la Descrizione dell'arco trionfale e della illuminazione fatta nella pubblica piazza di Vicenza la notte del 12nov. 1758 per la esaltazione ... cardinalizia di ... Antonio Marino Priuli (Vicenza, C. Bressan e F. Mazzolini, 1758); qualche anno più tardi incise le tavole dei maggiori monumenti vicentini, disegnati ancora dal Bertotti per il Forestiero istruito delle cose più rare di architettura, e di alcune pitture della città di Vicenza (Vicenza, G. B. Vendramini Mosca, 1761). Il segno lucido, sobrio, preciso del D. bene asseconda il progetto dell'autore dell'opera, che mira alla restituzione puntuale del classicismo cinquecentesco, "al di là dei barocchismi decorativi entro cui [le fabbriche palladiane] erano state trasfigurate nell'opera del Muttoni" (Olivato, 1975, pp. 45 s.).

Il Bertotti ricorse alla collaborazione del D. anche per l'edizione della sua opera di maggior impegno: le Fabbriche e i disegni di Andrea Palladio; ma, a quest'altezza, i rapporti tra l'architetto e l'incisore si incrinarono. Il D., infatti, dopo aver accettato di eseguire le illustrazioni perunacerta somma, venuto a conoscenza dei prezzi in vigore sul mercato veneziano, pretese di più. La Olivato (1975, pp. 96-103: per un lapsus la studiosa riferisce il suo discorso a Giuseppe Dall'Acqua) produce le lettere indirizzate dal Bertotti al conte B. Algarotti e all'amico G. Gastaldi nel luglio del '74, in cui egli, "come un uomo che si trova in passione", ricostruiva i termini della vertenza, difendendo la sua buona fede e stigmatizzando con espressioni risolute il comportamento dell'incisore "che non ha mai lavorato per nessuno senza far insorgere orribili contrasti", certo "abile, ma indiscretto". Di fatto, il D. non mantenne il suo impegno di lavoro: egli firmava soltanto una parte delle tavole del primo volume dell'opera, comparso nel 1776 (Vicenza, presso F. Modena). Qualche tempo più tardi, per contro, incise le illustrazioni, che risulteranno esemplate su quelle del Forestiero istruito, per la nuova guida vicentina: la Descrizione delle architetture, pitture e sculture di Vicenza, di E. Arnaldi, L. Buffetti e O. Vecchia, coordinata da P. Baldarini e stampata anonima, a Vicenza, da F. Vendramini Mosca nel 1779 (Olivato, 1975, p. 46).

Un episodio interessante dell'attività del D. è rappresentato dalla sua collaborazione con G. Ciesa, di cui riproduce i disegni per le Poesie italiane sopra l'ultima guerra consecrate alla S. R. M. di Federico il Grande Re di Prussia da Giulio Ferrari patrizio vicentino (Vicenza, senza editore [ma G. B. Vendramini Mosca], 1766). L'incisore restituiva così duttilmente il segno del pittore da consentire al critico di riconoscervi "una tappa importante per definire lo stile ormai maturo del Ciesa" (Rigori, 1981, p. 37). Tradusse poi in rame altri disegni del Ciesa, di D. Rossi e A. Pirani per illustrare un'altra fatica poetica del Ferrari: Prosa e rime del Baron de' Ferrari di Vicenza Ciambellano di Sua Maestà Federico il Grande Re di Prussia (Vicenza, Stamperia Turra, 1780). Incisore ormai affermato in ambiente veneto, verso gli ultimi anni della sua vita, il D. ricevette dallo Zatta la commissione di illustrare, insieme ad altri valenti maestri, le Opere di Pietro Metastasio che comparvero in due edizioni (Venezia 1781-84 e ibid. 1782-84), eseguite sotto il controllo dello stesso autore. Il Morazzoni (1943, p. 142) apprezza, in particolare, i fregi ideati da G. Zuliani e dal D. per il "sapore eminentemente teatrale: paesaggi trattati scenograficamente con gran sfoggio di nobilissimi palazzi, archi e giardini reali, orride carceri, rustici e rovine". Sempre per lo Zatta, il D. collaborò alla decorazione della Commedia dantesca, che uscì nel 1784 per il Parnaso italiano, nonché delle Opere teatrali (1787-95) e delle Memorie (1788) di Carlo Goldoni, come attesta chiaramente la firma "C. Dall'Acqua" (cfr. F. Pedrocco in C. Goldoni, Il teatro illustrato nelle ediz. del Settecento, Venezia 1981, pp. 579 s.); gli appartengono, infatti, anche le vignette dei frontespizi di questi volumi, che il Mcrazzoni (p. 234) attribuì invece a Giuseppe Dall'Acqua.

Tra i ritratti eseguiti dal D. annoveriamo, in particolare, quelli del cardinale Antonio Marino Priuli sudisegno di Ludovico Buffetti (1758), di Fio VI (1775), di Francesco Fesaro sudisegno di Pietro Bini (presumibilmente del 1782, anno in cui il Pesaro fu eletto procuratore di S. Marco: Sanna, 1975-76, p. 84; e sappiamo che il D. godette della protezione della potente famiglia veneziana: Moschini, 1924, p. 145), il ritratto di Antonio Diedo su disegno di P. Longhi, e quello di Bernardo Tasso.

Tra le riproduzioni di opere famose - si ricordi che l'arte incisoria, nel '700, rese un servizio notevole alla pittura diffondendone le immagini - quelle che più di frequente sono citate dagli eruditi come imprese di particolare valore, addirittura "le opere più perfette che uscirono dalla sua mano" (Marasca, 1876), sono le quattro stampe che raffigurano gli elementi - la Terra, l'Aria, l'Acqua, il Fuoco - e discendono da dipinti di Louis de Boulogne. Queste serie di quattro stampe ritornano nell'esercizio del D.: per es.; il Catalogo... Remondini del 1817 elenca quattro rami con scene storiche e mitologiche ricavate da dipinti di Guido Reni, Salvator Rosa e Andrea Sacchi. E ce ne sono altre ancora. Il ripetersi della serie non è casuale: le quattro stampe, infatti, nel gusto diffuso del tempo, finirono per soppiantare la pittura "nelle stanze secondarie in città e nelle villeggiature dei ricchi" (Da Schio, Appendice, II, c. 650). Il D. riprodusse anche dipinti di Pietro da Cortona (Romolo e Remo sulla riva del Tevere; Cesare che ripudia Pompea) e, per il Wagner, nel 1779, il Cerretano dal Tiepolo, forse Giandomenico (Pallucchini, 1941, p. 52).

Tra le molteplici prospettive eseguite dal D. (di Verona, Padova, Mantova), le Vedute vicentine sono meritatamente le più note perché disegnate dallo stesso incisore.

Collocate dal Magagnato (1952) tra il 1770 e il 1780, ad eccezione della veduta panoramica della città, certamente più tarda per la presenza della loggetta neoclassica del Bertotti Scamozzi eretta nel 1780, sono state retrodatate al periodo 1760-72 dalla Sanna (1975-76, pp. 49-51) sulla base di indicazioni date da una lettera autografa del 25 ott. 1760 (Bibl. civica di Bassano) e dal catalogo dei Remondini del 1772; i curatori di Vicenza città bellissima (1983, p. 32) ne restringono i tempi: 1760-64, affidandosi alla testimonianza del catalogo remondiniano del 1764. Le ariose incisioni richiamano gli scorci familiari della città sorpresa nelle ore piene di animazione. A parere del Magagnato, il D. si stacca - e in ciò consiste la sua peculiarità - dalla grande tradizione dei vedutisti veneti del '700: "all'acutezza delle indagini prospettiche, e soprattutto all'energia delle impaginazioni luminose, egli sostituisce l'amore per i particolari saporiti, le note stravaganti di costume". Si direbbe che Pietro Longhi ne sia stato il modello iconografico. Di recente il Barbieri (1984), dal canto suo, ha rilevato l'impostazione scenografica delle Vedute: d'istinto l'incisore intuisce la "vocazione tipicamente scenografica" della sua città.

Il D. va ricordato anche come editore in proprio: egli, infatti, presumibilmente tra il 1767 e il 1770, pubblicò la seconda edizione della serie degli Edifici greci e romani di G. F. Costa (Succi, 1983, pp. 154 s.).

Tra i figli del D. e di Barbara Bonello, Giuseppe fu incisore.

Forse fu prozio del D. Giandomenico, anch'egli vicentino. Pubblico perito della Repubblica veneziana, rilevò e disegnò nel 1711 una celebre pianta: la Descrizione iconografica della Città di Vicenza.... La pianta riprende e rafforza l'ordinamento e l'impostazione di una precedente carta di G. Monticolo (1611), organizzata intorno a un asse centrale, corrispondente all'attuale corso Palladio, e orientata in senso Est-Ovest. A differenza, però, delle carte anteriori, la Descrizione di Giandomenico presenta solo le piante e i numeri di rimando degli edifici, i cui prospetti sono disegnati nella cornice: l'intelligente soluzione, di straordinaria modernità, consente di tracciare e far risaltare in modo più netto e preciso le vie e gli isolati (Vicenza città bellissima..., 1983, p. 27 e scheda n. 68). La pianta si impone perciò come nuovo e valido archetipo; ancor oggi essa costituisce una fonte preziosa per gli studiosi dell'urbanistica e dell'architettura locali.
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