Chiodarolo Giovanni Maria
Artista bolognese del sec. XVI.Allo stato attuale degli studi la personalità è priva di consistenza: più che un cognome, Chiodarolo sembra un soprannome.
Compare nel breve elenco dei pittori steso da Leonardo Alberti alla fine della sua Historia di Bologna (Bologna 1541, p. 52), subito dopo Francesco Franza (Francia) e prima di Hercole (Ercole Roberti) e M. Antonio Ramondi (Marc'Antonio Raimondi). Lo stesso cronista, in un capitoletto della Descrittione di tutta Italia (Bologna 1550, p. 336) - nel quale sono menzionati anche Amico Aspertini e Biagio Pupini, indicati come viventi -, specifica che il C. "fu... degno pittore", attestandone implicitamente la morte. Cade pertanto la possibilità di riferire al C. il documento del 1565 riportato da M. Oretti (Bologna, Bibl. comunale dell'Archiginnasio, ms. B. 98: Memorie delle morti de' pittori..., c. 110), in cui è fatto riferimento ad un Chiodarolo ancora vivente. Va anche detto che il Bumaldo (1641) riferisce la notizia della partecipazione del C., nel 1528, ai lavori dell'arca di S. Domenico, asserendo di averla tratta dalla Historia di Bologna dell'Alberti, ma non è possibile rintracciarla fra la congerie farraginosa d'informazioni fornite dallo storico. La citazione, ripresa dall'Oretti (1767), dai Malvasia (1678), dal Baldinucci (1681), dall'Orlandi (1704), non ha trovato alcun seguito sicché resta dei tutto oscura l'attività dei C. come scultore.
Un primo elenco di opere del pittore fu steso nel 1603 da Francesco Cavazzoni, che lo qualificava "pittore di Giovanni II Bentivoglio".e gli attribuiva la "Madonna co' li tre Maggi" della chiesa di S. Giacomo, la decorazione delle "loggie dissotto" della palazzina della Viola, e "parte" delle molte storie della chiesa di S. Cecilia fatte a fresco insieme con Francesco Francia, Lorenzo Costa e Amico Aspertini (1506-08).
Il Malvasia tentò nel 1678 una prima definizione stilistica del C. indicandone, sulla traccia di un perduto manoscritto di B. Baldi, il suo discepolato presso Francesco Francia; e in seguito (1686, p. 91) cercò di individuare le parti spettanti ai singoli artisti in S. Cecilia, ritenendo di poter localizzare la presenza dei C. nel riquadro - con Cecilia e Valeriano incoronati dall'angelo. IlMalvasia ampliò, inoltre, notevolmente-il catalogo del pittore, ricordato fino ad allora solo come frescante, riferendogli numerose pale d'altare oggi disperse (la "Vergine che .. adora il Bambino ..., colli ss. Antonio Abbate e Nicolò vescovo" nella chiesa della Maddalena di strada di S. Donato; lo Sposalizio di s. Caterina con i ss. Sebastiano e Domenico in S. Tommaso del Mercato; IlBattesimo di Nostro Signore in S. Giuseppe) o rivelatesi di scarsa attendibilità come il Presepio già in ss. Gervaso e Protaso, ora nella Pinacoteca nazionale., ritenuto da R. Varese (1967, p.65) di Lorenzo Costa e da P. Venturoli (1969, p. 165) di un seguace del ferrarese, forse il Maestro di S. Maria Egiziaca.
La notizia della presenza del C. in S. Cecilia, ripresa da tutta la storiografia successiva, venne ampliata dal Frizzoni (1876) che gli riferì anche la Disputa di Cecilia con il prefetto Almachio data dal Malvasia all'Aspertini. L'attribuzione venne prontamente accolta dal Morelli (1886, p. 249), che non esitò a dare al C. un disegno preparatorio per l'affresco, conservato nel Gabinetto dei disegni degli Uffizi a Firenze sotto il nome di Filippino Lippi (passato in seguito dal Longhi, 1940, all'Aspertini e dal Venturoli, 1969, p. 166, al Costa).
Si veniva frattanto configurando l'immagine di un pittore imitatore del Francia, e più ancora del Costa, sotto la cui direzione avrebbe esordito nella chiesa di S. Cecilia (Crowe-Cavalcaselle, 1874; Morelli, 1886, Jacobsen, 1899). Su queste labili premesse, non suffragate da nessun elemento certo, è continuato (Venturi, 1908 e 1914; Colasanti, 1910; Frizzoni, 1913; Offner, 1915) l'ampliamento del catalogo del pittore mediante l'attribuzione di numerose opere che non hanno retto al vaglio delle più aggiornate acquisizioni critiche.
Senza fondato motivo gli è stata inoltre assegnata la miniatura con la Crocifissione dell'Officiodella Vergine della J. P. Morgan Library di New York, scritto per Giovanni II Bentivoglio nel 1497 (M. Harrsen-G. K. Boyce, Medieval and Renaissance Manuscripts..., New York 1953, p. 47). Il problema attributivo della decorazione di S. Cecilia è stato ripreso e impostato in termini nuovi da R. Longhi (1940) il quale, sull'esame esclusivo delle testimonianze pittoriche, ha attribuito l'affresco con Cecilia e Valeriano incoronati dall'angelo ad Amico Aspertini, e ha fatto di questo il vero protagonista deIl'impresa decorativa estendendone la partecipazione anche ad altri tre affreschi (S. Cecilia davanti ad Almachio, Battesimo di s. Valeriano, Martirio di s. Cecilia) quale sostegno dei minori collaboratori del ciclo che non riteneva identificabili. Successivamente il nome del C. è stato nuovamente avanzato con molta cautela (Scaglietti, 1967, p. 140) per S. Cecilia davanti ad Almachio già data al pittore dal Frizzoni (1876). Ma non puo essere taciuto il fatto che né P. Lamo nel 1560 (La graticola di Bologna, Bologna 1844) né G. F. Negri negli Annali... (1500-1521; ms. B 1107 della Biblioteca universitaria di Bologna) ricordano il C. fra i maestri che lavorarono nella chiesa di S. Cecilia e che l'affresco citato non sembra presentare aff-mità con la Madonna col Bambino della chiesa di S. Giacomo, frammento dell'Adorazione dei Magi ricordata dal Cavazzoni (Varese, 1969, p. 100), per quanto è dato giudicare dal precario stato di conservazione. Anche l'attribuzione delle Sibille di S. Onofrio a Roma proposta dall'Arcangeli (in Scaglietti, 19673 p. 146) non sembra sostenibile (P. Venturoli, Nota su J. Ripanda..., in Storia dell'arte, I[1969], 4, pp. 433-438).
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