De Vegni Leonardo

 Incisore. Figlio di Francesco, dottore in legge, e di Caterina Apolloni, nacque a Chianciano (prov. di Siena) il 12 ott. 1731. Fin da ragazzo dimostrò una spiccata preferenza per lo studio delle arti del disegno, per la poesia e per le scienze; i genitori, però, contrari a questa sua eclettica versatilità, pur permettendogli di prendere lezioni di disegno dal pittore Antonio Buonfigli di Siena, lo forzarono a laurearsi in diritto civile e canonico, il che avvenne il 3 maggio 1750 presso l'università di Siena.  Tra il 1750 e il 1757 ricevette alcuni incarichi di carattere giuridico dal Comune di Chianciano, continuando però a dedicarsi ad altre attività, come lo scrivere versi in italiano e in latino, e all'approfondimento di questioni di botanica e mineralogia. Nel 1757 alla morte del padre, il D. poté finalmente consacrarsi interamente alle materie che più lo interessavano: cominciò così ad applicarsi con serietà allo studio del disegno, prendendo lezioni dal pittore Domenico Barsotti di Lucca, e alle ricerche sulla "plastica dei tartari", un metodo particolare per ottenere forme a fini tecnici o artistici servendosi dei depositi calcarei delle sorgenti situate nel suo podere in Bagni di San Filippo, vicino a Castiglione d'Orcia (cfr., del D., Descrizione del casale a Bagni di San Filippo in Toscana..., Bologna 1761). La fabbrica per la produzione di motivi decorativi in "tartaro" che il D. impiantò con G. Gherardini e G. Pagliari diventò famosa tanto che fu visitata dal granduca Pietro Leopoldo il 25 ott. 1769.

Con questa tecnica, nel 1771, realizzò sei bassorilievi da applicare sopra sei finestre del padiglione della Meridiana di palazzo Pitti, di cui ora non rimane traccia; in seguito ne produsse uno per la fonte di Seggiano, e un altro ancora per la porta a Sole a Chianciano, l'unico esemplare che ci è pervenuto, in cui è raffigurato il busto di profilo del Cristo.
Sempre servendosi di tale originale tecnica, il D. aveva costruito due mulini ai Bagni di San Filippo, i quali, disattivati nel 1930, furono in seguito distrutti. Una raffigurazione tratta da un'incisione dei mulino da grano è inserita nel terzo volume del Viaggio pittorico della Toscana di A. Terreni, pubblicato a Firenze nel 1801.
La volontà di confrontarsi con discipline umanistiche e scientifiche tra loro anche molto distanti permette di definire il D. tipico esponente di quella cultura illuministica nel cui ambito dimostrò di essere al corrente delle varie posizioni assunte dai più eminenti teorici ed eruditi a lui contemporanei.
Dopo un biennio di studi a Chianciano, il D. nel 1759 decise di trasferirsi a Bologna solamente con la moglie Graziosa Maggi, lasciando i figli a Chianciano; lo scopo era di migliorare le sue conoscenze teoriche e pratiche dell'architettura e delle arti in generale, frequentando la cerchia del pittore Ercole Lelli, in seno alla quale ebbe continui scambi con note personalità culturali dell'epoca, come Gregorio Casali, Vincenzo Corazza, Francesco Tadolini, il pittore quadraturista Mauro Tesi e, soprattutto, il conte Francesco Algarotti, che spesso egli citerà in seguito a sostegno delle proprie tesi su problemi architettonici.
In questo periodo si delineò anche chiaramente l'intento didattico che lo interessò sempre, tanto che quando più tardi si trasferì a Roma, organizzò presso di sé anche una piccola scuola di architettura: in molti suoi scritti posteriori e in numerose lettere ribadì sempre la necessità che i giovani architetti fossero istruiti da insegnanti più informati sui moderni sviluppi della teoria e disponessero di libri di testo più chiari e aggiornati.
Rientrato a Chianciano, nel 1762 disegnò la pianta della città in scala di canne chiancianesi (Chianciano, Archivio storico).
Nel 1765, dopo la morte della madre, si trasferì a Roma, questa volta con tutta la famiglia. Tuttavia la sua attività di architetto iniziò prima di questa data: nel 1764 infatti progettò e diresse la costruzione del teatro di Montalcino per la locale Accademia degli Astrusi.
In questo lavoro, primo di una serie di progetti teatrali, suo stretto collaboratore fu il pittore Giovan Battista Marchetti, il quale, oltre alle scene, dipinse a grottesche la volta reale in gesso della platea. Privo di connotazioni architettoniche esterne, poiché inserito all'interno di un edificio, il teatro esiste tuttora e la sala misura 9 m di lunghezza e 8 m di larghezza.Quasi contemporaneamente al teatro di Montalcino il D. progettò la partitura architettonica per una finta cupola nella chiesa della Madonna della Rosa a Chianciano, costruita da Baldassare Lanci da Urbino nel 1585.
La "cupola", composta nel tamburo da otto coppie di pilastri, proseguenti in alto in forma di costoloni, inframmezzati da quattro nicchie con statue e da quattro finestre, fu dipinta dal Marchetti; in seguito gli elementi architettonici furono ripresi a stucco, dando alla decorazione l'aspetto che ancora oggi si può osservare.
Negli anni successivi il D. ricevette altri incarichi per piccoli teatri ad Anghiari, Sinalunga, per l'Accademia dei Rozzi a Siena e per Foiano.
Riguardo ad Anghiari non è stato possibile rintracciare alcun progetto, anche se il teatro tuttora esistente, fatto costruire insieme ad un caffeaus tra il 1777 e il 1791 dal nobile Benedetto Corsi, insolito nella tradizione toscana per il suo coronamento di statue, suggerisce evidenti analogie con i progetti del D. per il teatro di Sinalunga e per il palazzo Albergotti ad Arezzo. Il progetto per Sinalunga, commissionatogli nel 1773 dal Comune e non realizzato perché sovradimensionato rispetto alla realtà provinciale in cui doveva inserirsi, è stato di recente reperito nell'archivio storico comunale di Sinalunga.
Per l'impianto dei progetti teatrali e soprattutto per la divisione dei palchetti, il D. si rifece alle indicazioni funzionaliste contenute nel Trattato sopra la struttura de' theatri e scene, scritto da Fabrizio Carini Motta e pubblicato a Guastalla nel 1676: in tutti questi progetti è evidente, oltre ad una definizione formale molto rigorosa e legata a tante altre di stampo neoclassico, una forte coerenza di funzionalità visiva e auditiva.
Con il trasferimento a Roma coincise anche l'inizio della sua vasta attività di critico e articolista, rintracciabile oltre che sulle riviste romane dell'epoca, quali le Memorie per le belle arti, di cui curò la sezione architettura per tutto il 1788, e l'Antologia romana, anche sul Giornale dei letterati pisani, sul Magazzino georgico di Firenze, nelle numerose lettere inviate al senese Giuseppe Ciaccheri tra il 1768 e il 1788 (Siena, Biblioteca comunale degli Intronati: cfr. L. D. ... Atti..., 1984) e nel carteggio tenuto, tra il 1790 e il 1798, con l'architetto fiorentino Giuseppe Del Rosso (Firenze, Biblioteca Riccardiana: ibid.).
Nel 1772 pubblicò a Roma la quarta edizione del vecchio Manuale d'architettura di Giovanni Branca, cui aggiunse note esplicative e tavole, da lui stesso incise. Di questi anni è anche il vano tentativo di dare alle stampe il Trattato di architettura civile e militare di Francesco di Giorgio Martini, custodito nella Biblioteca comunale degli Intronati di Siena.
Nel 1769 gli morì un figlio di dieci anni, sepolto a Roma nella chiesa di S. Maria in Aquiro.
Agli inizi degli anni Ottanta progettò e diresse la costruzione della torre civica, di un teatro e del cimitero di Foiano, tuttora esistenti anche se forse almeno parzialmente modificati rispetto ai progetti originari. Non vi è documentazione riguardo ad altri suoi interventi, come i progetti per una chiesa a Castel del Piano o per un antiportico di chiesa a Montalcino; il rifacimento della pieve di S. Biagio a Campiglia d'Orcia agli inizi del Novecento ha reso illeggibili le modifiche apportatevi dal D. nel 1793. Al 1784 risale la costruzione della porta a Sole o Stiglianese a Chianciano, costruita interamente in mattoni e recante il già menzionato bassorilievo in "tartaro".
Nel 1790 fu pubblicato sull'Antologia romana l'Avviso al pubblico di Leonardo De Vegni sopra due nuove edizioni delle opere di architettura di Andrea Palladio, in cui l'autore preannunciava una sua prossima più completa pubblicazione de I quattro libri dell'architettura del Palladio, con accurate illustrazioni tratte da incisioni sue proprie e con note esplicative di commento che avrebbero reso l'edizione più utile per l'apprendimento dei giovani.
L'opera non vide mai la luce e numerosi rami già incisi per le illustrazioni del primo volume, cui il D. allude in una lettera al Del Rosso del 2 marzo 1793, andarono dispersi nel 1801, in seguito alla sua morte.
Nei primi anni Novanta fu impegnato in due progetti di prestigio: uno per il palazzo Albergotti ad Arezzo, che in seguito realizzò, e un altro per il teatro dell'Accademia degli Intrigati a Montepulciano, al quale però fu preferito il progetto del pratese Giuseppe Valentini, e che fu pubblicato sul Taccuino di disegni di ogni specie raccolti da Giovan Battista Cipriani a Roma nel 1811.
La disposizione del D. a occuparsi di problemi di ordine pratico e scientifico, delineando le soluzioni più semplici ed immediate, lo portò ad interessarsi anche alle costruzioni in crudo, frequenti nelle campagne senesi. Fu così che quando il Del Rosso, su invito del granduca di Toscana, tradusse e riassunse il trattato in quattro volumi di F. Cointeraux (Maison de terre..., Paris 1790-91), pubblicandolo a Firenze nel 1793 con il titolo Della economica costruzione delle case di terra. Opuscolo diretto agl'industriosi possidenti e abitatori dell'agro toscano, il D. gli chiese di potervi accludere una sua considerazione sull'argomento, che poi, per lo sviluppo e l'accuratezza che gli diede, assunse da sola la forma di un piccolo ma compiuto trattato, in cui viene ribadito con vari esempi come la tecnica delle costruzioni in crudo fosse stata da sempre popolare in Toscana, e quindi non poteva essere tipica della Francia, come aveva scritto il Cointeraux.
Le testimonianze del Comolli (1788-1792) del Milizia (1781) e del padre Della Valle (1786) ci fanno comprendere quanto il D. fosse tenuto in considerazione nell'ambito artistico di un'epoca nella quale egli partecipò pienamente alle problematiche illuministe per la rifondazione di una nuova arte architettonica che, sfrondata dalle esagerazioni ornamentali barocche, doveva essere di nuovo all'altezza dell'architettura classica.
A Bologna fu membro dell'Accademia Clementina, a Roma dell'Accademia di S. Luca e anche dell'Arcadia, con il nome di Aristeo Licaonio.
Morì a Roma il 22 sett. 1801 (Maggi, 1808).

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